venerdì 15 dicembre 2017

Repubblica di Weimar


putsch di Monaco

l’agosto 1939, pochi giorni prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, confidò all’ambasciatore britannico Neville Henderson: “Io sono un artista, non un politico. Una volta che la questione polacca sarà risolta, voglio finire la mia vita come artista”.

Armato di grandi speranze, il 18enne Adolf tentò una prima volta, nel 1907, di entrare all’Accademia delle Belle Arti di Vienna, ma la delusione fu cocente: “Scarso talento, prova di disegno insufficiente”, fu il laconico giudizio all’esame di ammissione. Bocciato! E il direttore dell’Accademia gli confermò “in maniera inequivocabile… la mancanza di talento pittorico”. Si ripresentò nel 1908, ma non venne nemmeno ammesso alla prova perché i suoi disegni erano troppo scadenti. 

Negli anni successivi, però, fu proprio con la pittura che l’autodidatta Hitler, giovane malinconico chiuso in se stesso e pieno di rancore verso il mondo, si guadagnava (poco) da vivere a Vienna: colorava cartoline, affrescava facciate di case, dipingeva per corniciai e mobilieri, soprattutto paesaggi urbani o luoghi deserti. Fino a quando, nel 1913, per sottrarsi al servizio militare nell’Esercito asburgico si trasferì a Monaco e l’anno dopo si arruolò come volontario nel XVI Reggimento di fanteria della riserva bavarese. Il pittore fallito austriaco indossò l’ambita uniforme militare tedesca e, abbandonate le velleità artistiche, si tuffò con entusiasmo nella Grande Guerra, dalla quale tornò con due medaglie al valore e una nuova missione di vita: “Ebbi coscienza del mio destino. Decisi di consacrarmi alla politica”.


E in questa veste, 90 anni fa, compì la sua prima impresa pubblica, il “debutto” rivoluzionario contro la Repubblica di Weimar: il Putsch di Monaco, una farsa tragicomica improvvisata che mise in luce, questa volta sì, il suo talento, quello di capopopolo. 8 novembre 1923: durante un comizio di Gustav von Kahr, commissario di Stato investito di poteri dittatoriali in Baviera, in una grande birreria della città, Hitler fece irruzione con alcuni suoi colleghi del giovane Partito Nazionalsocialista (costituito nel 1920), salì su un tavolo e, per attirare l’attenzione del pubblico, sparò un colpo di pistola contro il soffitto. “La rivoluzione nazionale è scoppiata”, urlò. “La sala è occupata da 600 uomini in perfetto assetto di guerra. Nessuno può uscire. Il governo bavarese e quello del Reich sono rovesciati ed è stato costituito un governo provvisorio. L’esercito e la polizia marciano ora sulla città sotto la bandiera della svastica”. Tutto ciò era falso, un bluff! Ma nessuno in quella confusione poteva verificare. Lo scopo di Hitler era costringere il triumvirato che governava il Land bavarese a fare un colpo di Stato assieme ai nazisti. Chiuse quindi in una stanza von Kahr e gli altri due alti funzionari bavaresi (von Lossow e von Seisser) e, grazie a minacce, menzogne e spavaldi colpi di teatro, riuscì a scendere a patti con loro. O così almeno Hitler pensava. Invece commise un errore: si allontanò momentaneamente dalla birreria e, al ritorno, constatò che il triumvirato se l’era squagliata nella notte, premurandosi subito dopo di rinnegare l’accordo estorto con la forza dal leader nazista.
Disperatamente, Hitler decise allora di marciare la mattina dopo sul centro di Monaco con i suoi tremila sostenitori, tra cui Hermann Goering, capo delle SA, le Squadre d’Assalto. Un centinaio di poliziotti armati di fucili interruppe il corteo: lo scontro a fuoco che ne seguì lasciò sul terreno 16 nazisti e tre poliziotti morti, oltre a numerosi feriti. Hitler se la diede a gambe e venne arrestato due giorni dopo. Il putsch di Monaco, nato dalla improvvisazione melodrammatica del futuro Führer, si risolse in un fiasco, ma fece di Hitler una figura nazionale, soprattutto durante il processo che iniziò nel 1924: qui il leader nazista poté mettere in mostra tutta la sua abilità oratoria, che agli occhi di molti ne fece un eroe e un patriota. Venne condannato a cinque anni di reclusione per alto tradimento (ma dopo soli nove mesi, grazie alla condizionale, ottenne la libertà). E fu proprio in quei mesi di detenzione, nella fortezza di Landsberg, che dettò al fedele compagno di cella Rudolf Hess la prima parte del “Mein Kampf”, le basi della sua delirante ideologia. Il pittore fallito trasformatosi in eroe rivoluzionario aveva dato vita alla “Bibbia” del futuro Terzo Reich.



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